E’ una “sanzione” per l’”abuso del processo” la condanna prevista dall’art. 96, terzo comma c.p.c.

E’ una “sanzione” per l’”abuso del processo” la condanna prevista dall’art. 96, terzo comma c.p.c.
29 Luglio 2016: E’ una “sanzione” per l’”abuso del processo” la condanna prevista dall’art. 96, terzo comma c.p.c. 29 Luglio 2016

Anche la “condanna” prevista dal terzo comma dell’art. 96 c.p.c. (introdotto dall'art. 45, comma 12, della l. 18 giugno 2009, n. 69) approda in Cassazione. La disposizione in questione prescrive che “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. La condanna ad una “somma equitativamente determinata” in questo caso, secondo la III Sezione della Cassazione civile, che si è pronunciata in materia per la prima volta, con la sentenza n. 15017/2016, “è connotata da natura sanzionatoria e officiosa” ed è proprio la “possibilità di una pronuncia di ufficio” ad estrapolare “l’istituto dal tradizionale contesto della responsabilità aggravata”, che prevede invece l’“istanza di parte”. La Corte sottolinea che il presupposto della sanzione non è tanto l’infondatezza della domanda o della resistenza della parte soccombente, anche se questa sia “manifesta”, bensì la sua “mala fede o colpa grave”, consistenti nella “coscienza dell’infondatezza della domanda” ovvero “nella carenza della ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta coscienza”. A loro volta, la mala fede o la colpa grave del soccombente devono integrare “un abuso del processo, ovverosia un suo utilizzo al di fuori del suo schema tipico o al di là dei limiti determinati dalla sua funzione, con conseguente lesione dei diritti della parte risultata vincitrice”, come avviene, ad esempio, quando il processo venga in realtà utilizzato “a fini dilatori”, in quanto la finalità perseguita dal soccombente in tal caso consiste “solo nel ritardo della definizione della controversia… cioè nell’indebita procrastinazione del giudicato favorevole” alla controparte. Ovviamente, non è questo il solo caso di “abuso del processo”. È quanto mai interessante notare come la pronuncia del giudice di legittimità inquadri il nuovo istituto nello scenario più generale del fenomeno dell’”abuso del processo”, rispetto al quale negli ultimi anni la giurisprudenza ha manifestato importanti e molteplici tentativi di reazione. Ciò che lascia perplessi in questa decisione è invece il fatto che, dopo aver sottolineato il carattere di “officioso” dell’istituto, nel quale si è altresì ritenuto di ravvisare il suo saliente connotato, la Corte mostri di ritenere necessaria, ai fini della condanna “sanzionatoria”, l’”allegazione e dimostrazione, ma anche in via indiziaria, quantomeno della colpa grave in capo alla parte soccombente nell’agire o resistere in giudizio”. Il riferimento all’“allegazione” è infatti evocativo di un’attività difensiva della parte vittoriosa che, atteso l’anzidetto carattere “ufficioso” dell’istituto, appare in realtà del tutto estranea ad esso, per cui preferiamo pensare ad un’improprietà linguistica della sentenza, ipotizzando che con tale espressione si sia fatto invece riferimento alla necessità che il Giudice motivi adeguatamente il presupposto della malafede o della colpa grave anzidette (anche solo in relazione ad elementi di natura indiziaria).

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